37 anni fa, poco distante dal confine con la Bielorussia, era in funzione una delle tante centrali nucleari presenti in Ucraina; quella soprannominata “Lenin“, tuttavia, avrebbe avuto un impatto sul territorio circostante assolutamente devastante, portando alla morte diretta di decine di persone, e in maniera indiretta di migliaia. Ripercorriamo in breve quello che successe a Chernobyl, per ricordare quello che è passato alla storia come il disastro nucleare più devastante di sempre…
Erano le 1:23 di notte del 26 aprile 1986, quando un’improvvisa esplosione scoperchiò il reattore numero quattro della centrale; pochi istanti dopo ci fu un secondo boato, che fece volare nelle zone circostanti dei pezzi di grafite radioattivi. Ma come si è arrivati a tutto questo?
Dobbiamo sapere che la costruzione della centrale nucleare “Lenin” iniziò nel 1970, ed era composta da quattro reattori (anche se ne erano originariamente previsti sei); tuttavia, come descritto in maniera dettagliata da un report del 1992, c’erano delle gravi carenze dal punto di vista del design e dei protocolli di sicurezza. Questi fattori, uniti agli errori commessi dagli operatori in quella notte fatale, si sono rivelati il connubio per il disastro.
Una centrale nucleare a fissione prevede la rottura dei nuclei di elementi pesanti, quali ad esempio l’uranio, in nuclei più piccoli e stabili. Questa divisione dell’atomo, che avviene nel nocciolo (una delle parti del reattore), libera un piccola quantità di energia cinetica; il calore che si genera da questo processo riscalda l’acqua, presente all’interno delle tubature intorno al reattore, che quindi si trasforma in vapore, in grado di far ruotare una turbina e generare perciò energia elettrica.
Delle componenti fondamentali, presenti nel reattore, sono le barre metalliche, le quali vengono fatte scivolare nel reattore per assorbire l’energia cinetica e mantenere quindi sotto controllo il processo di fissione. Nella centrale di Chernobyl, tuttavia, per risparmiare sulla costruzione, queste barre avevano la punta in grafite, anziché in boro.
In quella notte tra il 25 e il 26 aprile, gli operatori attuarono un test di sicurezza, per cui disattivarono il sistema di raffreddamento di emergenza del nocciolo. Questa scelta, infatti, fu dettata dal fatto che si voleva appurare se si potesse utilizzare la spinta delle turbine per iniziare fin da subito il processo di raffreddamento del nocciolo in caso di blackout, senza aspettare la lunga attivazione dei generatori di emergenza.
Gli operatori, tuttavia, interruppero questo esperimento, secondo dinamiche e motivi non ancora chiari; tuttavia la pressione del bottone di emergenza, per bloccare la reazione che inspiegabilmente stava ancora continuando, ha portato all’immersione in acqua di solamente 18 delle 211 barre di controllo. Le punte in grafite, inoltre, accelerarono la reazione, surriscaldando le barre di controllo e impedendo al reattore di scaricare il vapore. L’accumulo di quest’ultimo, proprio come avviene in una pentola, ha generato una pressione tale da far esplodere il tetto del reattore quattro; evento che pochi secondi dopo portò all’espulsione della grafite radioattiva e di altro materiale.
Il bilancio immediato delle esplosioni fu l’emissione nell’atmosfera di enormi quantità di fumi contenenti particelle radioattive. I morti immediati furono diverse decine, tra operatori e liquidatori; era infatti fondamentale spegnere immediatamente l’incendio nel reattore, che richiese centinaia di tonnellate di acqua, boro, sabbia e molti altri materiali.
La cittadina di Pryp”jat’, nei pressi della centrale, venne abbandonata dalla quasi totalità dei suoi 50mila abitanti e ancora oggi risulta essere una città fantasma.
Nonostante gli insabbiamenti e i ritardi dell’amministrazione sovietica, che inizialmente minimizzò i danni, la verità sulla gravità di quanto avvenuto venne fuori ben presto, quando la gran parte delle nazioni europee segnalò dei livelli di radioattività più alti della norma.
Al giorno d’oggi la centrale nucleare risulta rinchiusa da un sarcofago in acciaio e cemento, allo scopo di limitare la contaminazione radioattiva all’interno della cosiddetta “zona di esclusione di Chernobyl“. Gli altri tre reattori, nonostante l’incidente, rimasero sempre in funzione, per essere infine dismessi tra il 1991 e il 2000. Questo evento, di portata storica, sulla lunga durata ha portato alla morte di migliaia di persone, a causa delle conseguenze della radioattività.
Nei primi messi di guerra in Ucraina, la centrale era caduta temporaneamente in mano alle truppe russe, alimentando diverse preoccupazioni; tuttavia, dopo la ritirata dell’esercito invasore, gli ucraini si sono reimpossessati di quei territori, che ancora oggi risultano in gran parte interdetti, almeno per stanziamenti su lunghi periodi. Nonostante ciò, per i più temerari è possibile compiere delle escursioni di gruppo guidate nella città di Pryp”jat’ e nelle vicinanze della centrale.
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