C’era molta attesa per il debutto nel DCEU di The Rock, chiamato a risollevare le sorti della casa con la forza sovraumana del suo “Black Adam“. Un film inseguito e fortemente voluto dall’attore, che per la prima volta regala la sua prestanza fisica ad un cinecomic. Ma quale sarà stato il risultato? Andiamo a scoprirlo insieme.
È passato ormai più di un decennio da quando, nell’ormai lontano 2007, Dwayne Johnson si interessò per la prima volta al personaggio di Black Adam. Un villain, o antieroe che dir si voglia, che lo avrebbe accompagnato per i successivi quindici anni. Nel frattempo The Rock, dotato già di suo di un soprannome calzante da supereroe, sarebbe diventato uno degli attori più pagati di Hollywood, icona di un certo cinema d’azione ancor prima che maschera. Ma portando sempre in valigia un costume nero e una seconda identità, in attesa che i tempi fossero maturi.
Le premesse mitiche della produzione di “Black Adam” fanno da contraltare a quelle del suo protagonista: una forza sopita dell’antichità di Kahndaq, ricordato come l’unico eroe in grado di aver donato la libertà al suo popolo soggiogato. Ma premesse che, ancor più, avvicinano il personaggio al volto del suo interprete, in un processo di osmosi che lascia indistinte le due figure. Perché Dwayne The Rock Johnson è Black Adam, lo interpreta con tutto il suo carisma e il suo fascino machista, mostrando con una prova muscolare quanto fosse profondamente legato a questo ruolo.
Ma se Black Adam è The Rock, la stessa equazione può essere espressa per descrivere i limiti del film. Il contesto costruito per dare un contorno al personaggio risulta debole e fortemente stereotipato, quello di un popolo sottomesso ad una dominazione straniera in attesa di un “eroe” che lo salvi. In questa cornice la figura del mitico Teth-Adam, aka Black Adam, emerge però più come un dio onnipotente che come un eroe, dimostrando come ciò di cui quel popolo ha bisogno è la forza e non la giustizia.
Quanto detto deriva anche da un prologo didascalico e piatto, che introduce le origini mitiche del personaggio in modo abbastanza inefficace. Per di più affida una buona manciata di minuti ad una voce fuori campo, che si limita a duplicare ciò che vediamo su schermo. A conseguenza di ciò, l’impalcatura narrativa messa in piedi per giustificare l’entrata in scena di Black Adam appare alquanto debole, se non un pretesto per scatenare la furia distruttiva di un’entità che ha nell’impeto di devastazione la sua ragion d’essere. Di fatto la città di Kahndaq, popolata da personaggi che vorrebbero dire la loro, risulta un mero cliché senza voce, la cui utilità si risolve nell’offrire un teatro per gli scontri a cui l’antieroe prende parte.
Arriviamo perciò a toccare, uno conseguente all’altro, i due punti più riusciti del film. Il primo: le scene di azione. I combattimenti presenti sono quasi sempre soddisfacenti, susseguendosi ad un ritmo serrato e costellati di effetti speciali ben realizzati. È ovvio come la pellicola sia stata concepita come uno scheletro su cui poggiare gli organi vitali, ossia le sequenze di battaglia che disseminano la narrazione senza soluzione di continuità, ogni volta riproponendo una variazione sul tema. Di fatto è l’onnipotenza del protagonista il vero effetto speciale, da sfoggiare via via contro nemici che si fanno più forti. In questa dinamica bisogna ammettere che la forza dirompente di Black Adam, veicolata da un The Rock perfetto per il ruolo, esercita un certo fascino nello spettatore, desideroso di scoprire fino a che punto il dio-distruttore può arrivare.
Il tema dei combattimenti ci porta al secondo punto: la Justice Society of America. Chiamati a catturare la potenziale minaccia di Black Adam, i membri della Justice Society funzionano a metà: se i personaggi leader di Doctor Fate (un Pierce Brosnan davvero tagliato per la parte) e Hawkman (Aldis Hodge) risultano convincenti e coinvolgenti, le giovani leve rappresentate da Atom Smasher (Noah Centineo) e Cyclone (Quintessa Swindell) sembrano invece delle macchiette, inefficaci in battaglia e utili soltanto alle incursioni comiche a cui ogni tanto la pellicola si presta. Il risultato è che per lunghi tratti i primi due sembrano fare squadra da soli; ciò nonostante, la presenza dei due supereroi non sfigura, ed è nelle sequenze che li vede centrali che Black Adam sembra funzionare meglio. D’altra parte è evidente come la scelta di presentare tali personaggi sprovvisti di una backstory, al contrario del protagonista, sia direzionata a farci parteggiare per quest’ultimo.
Nel confronto con la Justice Society, inoltre, emerge il tema cardine di Black Adam: quello del confronto tra giustizia e violenza. Durante tutto il film assistiamo ad una costante rimarcazione del fatto che Black Adam non è un eroe: è il suo essere villain a renderlo “speciale”, a renderlo necessario, perché il suo uso della violenza senza freno è l’unico che può paradossalmente porre un freno ad altra violenza. E così nelle stesse svolte narrative il falso mito della giustizia eroica rappresentata da Teth-Adam lascia il posto alla realtà dell’ira e della distruzione di Black Adam. Ira e uso della forza che qui diventano veri e propri valori a cui richiamarsi, a cui fare appello in quanto, in definitiva, forme più efficaci di risoluzione dei problemi.
E così nel finale, quando la giustizia/Justice Society si vede di fronte una minaccia insormontabile, è costretta a richiedere l’aiuto della violenza/Black Adam. Un finale insomma pretestuoso (oltre che mal realizzato) per ribadire ancora una volta l’onnipotenza del protagonista, che può arrivare dove gli eroi non possono proprio in virtù del suo non essere eroico (un dilemma, oltre che una dinamica, che se vogliamo richiama quello posto da Thanos in Infinity War). Il tutto suggellato da un popolo che porta le braccia al cielo per salutare il suo autocrate liberatore, in uno scenario che nei tempi che corrono sembra avere non pochi echi politici.
Alla fine dei conti, “Black Adam” risulta un prodotto che di fatto si regge sulle larghe spalle del suo protagonista: carismatico, cinico e spietato, The Rock offre una prova convincente e di carattere. Attorno alla sua figura iniziano però i problemi. Funestato da un contesto narrativo stereotipato, il film diretto da Jaume Collet-Serra non riesce a fornire al suo magnetico protagonista una cornice altrettanto affascinante. D’altra parte, “Black Adam” offrirà di certo scene di combattimento divertenti per i fan dell’azione, anche grazie alla presenza della Justice Society. Una struttura narrativa sbilanciata e un finale pretestuoso inficiano però il valore finale del film, che in definitiva vede il suo protagonista giganteggiare in un quadro alquanto arido.
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