di Redazione NCI
L’AIDS si porta da sempre una serie di falsi miti e pregiudizi. In onore della giornata del 1° dicembre, nella quale si ricorda la lotta contro l’AIDS andiamo a vedere cosa sa dirci a riguardo la scienza di oggi.
Vi lasciamo qui alcune premesse generali: per chi non lo sapesse, l’acronimo AIDS sta per Acquired Immune Deficiency Syndrome, ovvero sindrome da immunodeficienza acquisita. La malattia attacca il sistema immunitario umano e la sua causa risale all’HIV, il virus dell’immunodeficienza umana. Quando colpisce qualcuno, la persona diventa più suscettibile alle infezioni, in particolare a quelle opportunistiche (causate da batteri, virus, funghi o protozoi) e allo sviluppo di tumori. Con il progredire della malattia, anche la vulnerabilità del soggetto aumenta.
Dalla scoperta dell’AIDS negli anni ’80…
Il Centers for Disease Control and Prevention ha individuato l’AIDS nel 1981 e la sua causa (HIV) solamente due anni dopo, nel 1983. In realtà la malattia esisteva anche prima, ma i medici la scambiavano per altro. Essa si è diffusa in tutto il mondo in maniera esponenziale, diventando una vera e propria pandemia, che è ancora in corso. La correlazione che al tempo venne trovata tra AIDS, i rapporti sessuali e l’uso di sostanze stupefacenti ha dato vita a pregiudizi che ancora si fatica a lasciar andare. La sieropositività è ancora oggi fonte di discriminazione.
Dal 1996 la scienza è riuscita a creare una combinazione di farmaci che sembra “immobilizzare” il virus nei sieropositivi. Questa cura riesce solamente a bloccare la malattia, ma non a rimuoverla dall’individuo. Nei paesi più sviluppati è diminuito il numero dei decessi, mentre i contagiati sono in aumento. Negli altri, l’AIDS è tra i fattori principali a causare la morte. Secondo il rapporto dell’UNAIDS del 2009, in tutto il mondo (da inizio pandemia) sono morte di AIDS circa 25 milioni di persone. I contagiati risultano 60 milioni.
La situazione ad oggi
In questo momento, chi è sieropositivo e può permettersi le cure necessarie vive praticamente in maniera normale. Esistono sia pillole giornaliere che modalità meno invasive, per esempio delle iniezioni mensili. Le aspettative di vita sono notevolmente migliorate e risultano quasi come quelle dei sieronegativi. Inoltre, chi è in cura, non trasmette l’HIV e quindi ha anche la possibilità di avere figli, senza contagiarli. Il problema ad oggi non è più la mortalità, ma lo stigma, che vive nell’ignoranza.
Nonostante siamo a contatto con questa malattia da parecchi anni, non esiste ancora un vaccino. La nostre armi rimangono quindi la prevenzione, i test, l’informazione e la condivisione. Per continuare a restare aggiornati non smettete di seguirci su NCI.
di Elena Barbieri
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