di Nasce Cresce Ignora
Esistono calciatori, pochi per la verità, in grado di andare oltre il tifo, oltre la rivalità. Oltre, se vogliamo, anche l’invidia. Perché troppo spesso si guarda al campione avversario con sentimenti più negativi che positivi. Con una sorta di malcelato astio e rancore. In pochissimi riescono a entrare nel cuore di tutti, a suscitare pura e semplice ammirazione, quasi venerazione. Su tutti questi “campioni della gente” a spiccare è senza dubbio l’eroe più umano di tutti: il Divin Codino Roberto Baggio. Uno che se ti segnava ti alzavi ad applaudirlo, anziché maledirlo. Perché Baggio… beh, Baggio era BAGGIO.
Baggio, un campione da uno su un miliardo
Questo non vuole essere un articolo ricco di retorica e frasi fatte, volto a ripercorrere statisticamente la parabola d’alti e bassi del campione italiano. Vuole essere semplicemente una celebrazione per l’apice della sua tormentata carriera: il meritatissimo Pallone D’Oro sollevato nel 1993. Dietro di lui due talenti cristallini come Bergkamp e Cantona, non i primi che trovi nel campetto sotto casa insomma. +
Baggio quell’anno fu la cosa più vicina ad un dio che si potesse trovare su un campo da calcio, qualcosa che, complici quelle ginocchia infami, successivamente si poté ammirare solo a sprazzi. Una gioia non solo per gli appassionati di pallone, ma per gli esteti di tutto il mondo: Baggio era infatti poesia, arte pura in movimento. Come se il David di Michelangelo od il Cenacolo stessero prendendo vita davanti a tutti noi. Chi lo ha visto in azione lo ha ancora scolpito indelebile nella testa e nel petto. Chi ha avuto la sfortuna di non poterlo ammirare dal vivo può solo rammaricarsene.
L’amore di un intero popolo
Incontenibile, geniale, veloce, altruista e letale. Un mix perfetto, orgoglio e vanto per l’Italia intera. Perché Roby non è stato solo un calciatore, un campione “maledetto”. È stato il simbolo di un intero Paese, l’eroe di due generazioni di giovani calciatori. Ha saputo riportare la magia in uno sport in cui il fisico cominciava a contare più dei piedi, in cui l’intensità iniziava a soffocare la fantasia. Anche se un riconoscimento simile non era necessario per celebrarlo: era il più forte di tutti, punto e basta.
Al tempo stesso solista e direttore d’orchestra, Baggio ha regalato al calcio italiano e non solo qualcosa che non si vedeva da tempo: un idolo, un fenomeno a tutto tondo. Qualcuno da amare. Incondizionatamente. Nella gioia e, soprattutto nel dolore. E ben pochi sarebbero stati in grado di farsi amare così dopo le tante cadute avute in carriera. Se tutta Italia lo ama ancora tanto, a cuore aperto e occhi lucidi, un motivo ci sarà. Se siete giovanissimi, chiedere ai vostri genitori, ai vostri nonni, chi era il “Divin Codino”. Vi basterà guardarli negli occhi per vederli luccicare di una luce quasi magica.
Grazie Roby. Quel 28 dicembre 1993 hai reso una intera nazione orgogliosa. Quel 28 dicembre eri davvero divino. Chissà cosa saresti potuto essere con due ginocchia intere… ma il tuo bello è stato anche questo. L’eroe con un macigno sulle spalle e sulle gambe, ma con un cuore grande così.
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Articolo di Pietro Magnani
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