di Gianluca Panarelli
Distribuito da Vértice 360, “Men” è il terzo lungometraggio diretto da Alex Garland. Approdato nei cinema italiani il 24 agosto, il film vanta la presenza di Jessie Buckley (candidata Premio Oscar per “The Lost Daughter”), Rory Kinnear, Paapa Essiedu e Gayle Rankin.
Trama
A seguito di una terribile tragedia, la giovane Harper (Jessie Buckley) decide di ritirarsi nei pressi della campagna inglese, in cerca di tranquillità. All’interno di un cottage isolato, il cui proprietario è il bizzarro Geoffrey (Rory Kinnear), la donna tenta di elaborare il trauma. Benché tutto sembri procedere per il meglio, qualcuno al di fuori dell’abitazione comincia a importunarla…
L’Inferno in Paradiso
Dopo l’eccellente “Ex Machina” e il buon “Annihilation”, Garland opera nuovamente in contesti naturali, complici un verde sgargiante e dei panorami idilliaci: quest’ultimi contraddistinti da dolci colline, prati rigogliosi e imponenti alberi da frutto. Tuttavia, l’“Eden” appena descritto non concorrerà alla salvezza della protagonista, bensì al suo estenuante disfacimento.
Difatti, assumendo progressivamente le sembianze di una dimensione alternativa, la collocazione spaziale tramuterà il disordine intrinseco di Harper in una minaccia concreta. Volte a tormentare un’anima lacerata, le proiezioni della psiche diverranno man mano tangibili, gravando di conseguenza sulle facoltà mentali della malcapitata e sulle capacità di “lettura” dello spettatore. Pregno di elementi irrazionali, “Men” sfrutta l’orrore al fine di rafforzare le implicazioni innescate da uno shock difficilmente superabile.
What kind of “Men”?
Rispetto a una prima parte tensiva e coinvolgente, il secondo tempo gioca a carte scoperte, dissipando i punti interrogativi di un incipit enigmatico. Nella fattispecie, l’autore sonda esplicitamente la tossicità del maschilismo, rivolgendo particolare attenzione al processo di reiterata violenza (fisica e psicologica) perpetrata ai danni del gentil sesso. Percepita come peccatrice (Harper assaggia una mela raccolta dall’albero appena giunta a Cotson), alla donna è pressoché negato un percorso che porti alla piena emancipazione, poiché perennemente ricondotta allo sguardo androcentrico del mondo. Ritenuta la causa di tutti i mali, l’identità femminile soccombe al machismo imperante, la cui espansione è da ricercare nella proliferazione degli aspetti che lo caratterizzano: dal gaslighting alle percosse, dalla molestia sessuale alla manipolazione psicologica.
A incarnare la deriva dell’essere umano è l’eccellente Rory Kinnear. Servendosi di posture antitetiche, accenti differenti e rinnovate micro espressioni, l’interprete dimostra di saper modellare brillantemente ciascuno dei personaggi assegnatogli. In controtendenza rispetto al collega, Jessie Buckley propone una performance più trattenuta, perfetta nell’alternare sottrazione e carica emotiva. Ancora una volta, Garland si conferma abile nel dirigere i propri attori.
L’immagine prima di tutto
Non si discute sull’impatto estetico del prodotto. “Men” gode di un comparto tecnico invidiabile, arricchito da un’elegante regia e valorizzato da una fotografia suadente (merito del DoP Rob Hardy). In più di un’occasione, la cinepresa fluttua al di sopra del manto erboso, con lo scopo d’immortalare quel “Paradiso Terrestre” menzionato in antecedenza. Mentre l’inquadratura lavora sulle silhouette, così come sulla tasmutazione dei connotati, lo slow-motion contribuisce ad addolcire le geometriche traiettorie dalla camera, per poi inasprire i segmenti narrativi di maggior rilevanza.
In opposizione a un verde arcaico e preponderante, il rosso esterna il calvario di Harper, intridendo l’immagine di un cromatismo tanto equilibrato quanto smodato. A impreziosire ulteriormente l’impianto è la colonna sonora composta da Ben Salisbury e Geoff Barrow. Facendo leva sulle melodie intonate dalla protagonista, il rimaneggiamento delle cantilene scorta la graduale alterazione della realtà, proponendo brani dalla spiccata indole rurale.
Cosa non funziona in “Men”?
È indubbio che la pellicola sfugga alle logiche della narrazione convenzionale, prediligendo viceversa un racconto volutamente elusivo. Saturo di richiami folcloristici e religiosi, si considerino la figura dell’Uomo Verde o l’entità della Sheela na Gig, il lungometraggio rigetta la compattezza strutturale, in favore di un intento artistico sofisticato oltremisura. Non è un caso che lo squilibrio interno designi uno dei nervi scoperti della creatura di Garland, soprattutto per quanto concerne il distacco fra il primo atto e gli ultimi due. In particolare, la ponderatezza iniziale sconfina in un traboccante epilogo marchiato da inefficaci innesti in CGI. Spogliata dunque di alcune sovrastrutture, l’opera avrebbe giovato di maggior coesione, riscoprendo di conseguenza quell’intensità espressiva che aveva definito così bene i primi quaranta minuti.
Presentata in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, l’ultima fatica del britannico pecca di quella pretenziosità tipica dei prodotti arthouse targati A24 (non tutti, sia chiaro). Attenzione però! Al netto dei limiti citati, “Men” conserva comunque un proprio valore intrinseco. L’esposizione dei nuclei tematici (la misoginia occidentale in primis…) così come il pregevole apparato formale, costituiscono i punti di forza di un’opera imperfetta (a tratti respingente), eppure ugualmente degna di menzione, specialmente se collocata all’interno della produzione horror degli ultimi anni.
Pro
- Comparto tecnico di assoluto valore
- Interpretazioni più che convincenti
- Interessante disamina sociale
Contro
- Scrittura a tratti pretenziosa
- Terzo atto ridondante
E voi che ne pensate? Avete già visto “Men”? Quale film preferite del buon Garland? Fatecelo sapere sui nostri canali social. Intanto v’invitiamo a rimanere sulle pagine di Nasce, Cresce, Streamma per ulteriori recensioni provenienti dal mondo del cinema e delle serie TV.
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