di Redazione NCI
In Indonesia la fisiologica attività vulcanica del Semeru ha provocato sinora già 14 morti e 57 feriti (di cui 41 gravemente ustionati). Il villaggio di Lumajang, situato alle pendici del cratere, è stato ricoperto da uno spesso strato di lava fredda e cenere. I popolani di una decina di altri centri abitati sono stati costretti a sfollare. E, dopo aver sgomberato l’area considerata a maggior rischio, hanno trovato asilo in moschee e in altri rifugi improvvisati. L’ultima grande eruzione del Semeru risaliva a dicembre 2020. Quella volta, il bilancio degli sventurati non fu molto diverso.
Indonesia, un soggetto a rischio
La nazione del sudest asiatico non è nuova a catastrofi di questo tipo a causa della sua vicinanza alla “cintura di fuoco del Pacifico“. Luogo d’incontro delle placche continentali che, quando entrano in contatto, provocano una forte attività sismica. Nel loro complesso, le isole di questo stato contano circa 130 vulcani attivi.
Alla fine del 2018 l’eruzione di un vulcano tra le isole di Giava e Sumatra ha causato uno tsunami che ha generato poco meno di 400 vittime. Maremoti e terremoti infatti fanno parte delle calamità naturali associate a un’animazione anomala delle cavità magmatiche. Motivo per cui l’espletamento delle funzioni vitali di un vulcano costituisce una triplice minaccia. Stando a degli studi, per tentare di arginare i danni provocati da questi fenomeni fisici, vi sarebbero una serie di accortezze, attuabili però solo se si dispone di determinati mezzi. Prima di tutto economici.
Per esempio, case più solide e meglio progettate potrebbero resistere con più efficacia ai vari sismi oltre che agli tsunami di piccola entità. Oppure, la costruzione di abitazioni nel rispetto della minima distanza di sicurezza da un vulcano, potrebbe prevenire il contatto ravvicinato con i suoi scarti e portare alla salvezza di decine di vite. Infine, un monitoraggio costante del dinamismo vulcanico sarebbe utile a prevenire l’insorgenza di spiacevoli accadimenti.
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di Gabriele Nostro
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