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Frankenstein (2025)- La recensione: Del Toro rielabora magistralmente il mito

di Redazione Network NCI

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Il mostro di Frankenstein torna sul grande (o piccolo) schermo. La creazione di Mary Shelley, entrata nell’immaginario collettiva ormai oltre due secoli fa, continua a essere un punto di riferimento per l’iconografia horror. Da questa introduzione, ci potremmo aspettare un film horror, ma non è affatto così. Il nome del regista già da solo lascia un presagio: Guillermo Del Toro.

Il regista, infatti, è molto ben conosciuto per il suo stile a metà tra gotico e fantascientifico. La possibilità di un suo progetto su uno dei capostipiti di entrambi i suoi stili era sempre stata nell’aria, ma, sapientemente, il regista ha deciso di adattare l’opera alla sua visione solo adesso.

Il Mostro? O il Figlio?

La storia, nonostante possa seguire qualche traccia lasciata dall’autrice o dai precedenti lavori sul personaggio, già da subito parte in modo originale. Il primo personaggio che vediamo è il Capitano infatti, comandante di una nave della Corona danese che cerca di raggiungere il Polo Nord, ignorando i rischi. Già da questo si capisce che il tema, per Del Toro, non è sullo scontro tra Uomo e Dio, né su chi può dare la vita, ma è incentrato proprio sull’ossessione.

L’ossessione di Victor Frankenstein di dominare la morte. L’ossessione della sua Creatura di poter davvero vivere. L’ossessione del suo benefattore di poter guarire. E la già citata ossessione del capitano di raggiungere il polo Nord. Guillermo Del Toro decide di dipingere tutti i personaggi davvero principali come vittime di una loro ossessione. Questo però non deve far credere di trovarci davanti a personaggi stereotipati o monodimensionali: il nostro protagonista è molto sfaccettato, e più spesso empatizzeremo con la sua ossessione di quante volte ce ne distanzieremo.

Ma la sapiente scrittura dei personaggi non lascia scampo alla verità della storia: chi si ossessiona, se non si ferma, non fa una buona fine.

A questa consapevolezza arriva la Creatura, più Figlio che Mostro, più innocente che brutale. Nel momento in cui realizza davvero cosa lo stava guidando e trova una prova tangibile di quale sia la fine a cui conduce, la Creatura lascia andare finalmente il suo sentimento di pura rabbia per poter lasciar spazio al perdono e alle nuove possibilità che il futuro può riservare. Con un finale sicuramente incerto, ma intriso nell’animo con una forte dose di ottimismo e, forse per la prima volta per la Creatura, pace.

Victor Frankenstein: moderno Prometeo? O moderno Edipo?

Il personaggio di Victor, interpretato da un magistrale Oscar Isaac, viene messo spesso sotto la lente di ingrandimento da Del Toro, che decide di metterne a nudo ogni parte. Non a caso, la prima parte della storia viene raccontata unicamente da lui, che comincia non con l’esperimento, ma con la sua nascita.

Del Toro decide di radicare nel profondo dell’anima di Victor il suo bisogno di avversare la Morte. Per distaccarsene ulteriormente dalle precedenti versioni, è così che lo fa chiamare quasi sempre: Victor. Il nome Frankenstein viene ripetuto pochissime volte, probabilmente si contano su una mano. Perché di lui stiamo parlando. Di Victor. Un Victor rimasto vittima da bambino di un padre crudele e freddo, che lo vede come un suo riflesso distorto e che lo punisce per questo. Un Victor che trova la salvezza unicamente nella figura della madre, a tal punto da rimanere così segnato dalla sua perdita da perdersi. Se prima voleva distaccarsi dal padre, adesso vuole essere come lui e addirittura meglio: superare i meriti medici del padre, per poter finalmente vincere sulla Morte che gli ha portato via la madre.

Grande rappresentazione sono i suoi sogni, scenari onirici in cui lui sviluppa la sua ossessione, la coltiva e la venera, per poi sul finale vederla com’è davvero: gretta e fautrice di dolore. Victor diventa esattamente come suo padre, a riprova anche del fatto che spesso i peggiori tormentatori sono stati a loro volta tormentati. I parallelismi con la figura paterna, nel momento in cui anche lui diventa “padre”, si sprecano, sia nei discorsi che fa che nei suoi manierismi.

La Creatura: l’innocenza instillata in un corpo morto

Passiamo quindi all’altro protagonista: la Creatura. Interpretato da un immenso Jacob Elordi, truccato in una maniera così accurata da sembrare vero, il “figlio” di Victor è protagonista almeno quanto il padre. La Creatura rimane vittima delle aspettative del padre, convinto di generare il prossimo passo dell’evoluzione, così incentrato su ciò che manca da non vedere quello che abbonda.

Il “figlio” è compassionevole, gentile, alla disperata ricerca dell’approvazione di suo “padre”. La differenza magari, per Victor, sta proprio qui: Victor non ha mai voluto l’approvazione del padre, prima ne fuggiva per stare con la madre e poi lo sfidava perché intendeva superarlo. Victor forse si aspetta proprio questo da lui: che la Creatura lo superi in tutto e per tutto, non solo a livello fisico ma intellettuale. Come suo padre prima di lui, vuole che la sua creazione lo emuli, che “ne valga la pena”. E lo spirito della creatura ne resta schiacciato.

Una volta libero, il “figlio” vaga per i boschi, cercando di ricostruire i pezzi di sé stesso che non ricorda. La sua indole però emerge fin da subito: non conosce la rabbia, o la Morte. Anzi, il suo primo pensiero è quello di aiutare e di farsi accettare. Persino l’invidia è percepita positivamente da lui, come uno stimolo a migliorare. Non capendo, inizialmente, che l’amore non deve essere meritato.

La similitudine con il padre comincia nel momento in cui l’amore non la chiede, ma lo pretende. E nel momento in cui la vita glielo nega, diventa vittima della furia. Mosso unicamente dalla vendetta. Ma a differenza del “padre”, fa un passo in più: l’ossessione la abbandona prima che lo consumi, e decide di perdonare e perdonarsi. Così facendo, si lascia scivolare addosso la maschera da Mostro per poter tornare a essere, come lui stesso si definisce, “qualcuno e non qualcosa”.

Gli altri personaggi

Ma il resto del cast non merita di passare inosservato. Christoph Waltz interpreta Harlander, il benefattore che aiuta Victor a portare a termine il suo esperimento. Anche lui è un ottimo esempio di vittima di un’ossessione: sta morendo. E quello che vuole è che Victor lo salvi. Non importa se sa bene che non è possibile, o se Victor cerchi di spiegarglielo: il suo bisogno di sopravvivere, di considerarsi in qualche modo addirittura immortale, lo spingono oltre i limiti sia di ragione che di sicurezza. Un personaggio che ancora di più simboleggia come, se non siamo in grado di riconoscere l’ossessione che ci guida, ci attende un solo finale.

Mia Goth e Felix Kammerer interpretano la cognata e il fratello minore di Victor, Elizabeth e William. Entrambi rappresentano la parte “sana” dell’umanità, il secondo in particolar modo veniva inizialmente presentato come negativo dalla prospettiva di Victor perché più simile al padre. In realtà William è un uomo buono, che cerca davvero di aiutare il fratello come può e nel momento in cui ci togliamo “le lenti” di Victor, capiamo quanto in realtà sia stato supportivo di un uomo ossessionato e profondamente meschino unicamente per amore.

Concentrandoci su Elizabeth, invece, questa non viene mostrata come interesse amoroso del protagonista, a differenza di altre interpretazioni. Anzi, Del Toro si premura molto bene di non rendere il personaggio una macchietta, usandola addirittura come mezzo per poter descrivere Victor per quello che è. Ai suoi occhi infatti lo scienziato non è un genio da ammirare, bensì un uomo profondamente marcio nel midollo, alla ricerca disperata di riparare dentro di sé qualcosa che si rifiuta anche solo di elaborare. In quanto donna, simpatizza fin da subito con la Creatura, mostrandogli per prima quell’amore che a un figlio dovrebbe essere dovuto. Entrambi, infatti, altro non sono che vittime delle catene, lei sociali, lui fisiche. Non è un caso infatti che a Victor lei preferisca sempre la Creatura, sentendosi finalmente come se avesse trovato un animo a lei affine.

Ultimo ma non per importanza, il vecchio cieco che insegna alla Creatura a leggere e parlare. Lui è il secondo, dopo Elizabeth, ad accogliere a braccia aperte il poveretto. Potrebbe essere semplice far credere che sia così solo perché non capisce che cosa sia la Creatura, ma Del Toro fa capire da subito che sa cosa sia. Tramite il tocco, l’ascolto e l’empatia, il vecchio subito capisce che la Creatura non è “come lui”, ma ciò nonostante ne riconosce l’umanità intrinseca. Sarà lui infatti ad appoggiare il viaggio della Creatura per riscoprire le sue origini, e poter colmare il vuoto dentro di lui, anche se sa che l’assenza del suo amico porterà alla sua morte. Un personaggio che non solo non è vittima di un’ossessione, ma che cerca di aiutare un altro a risolvere la sua. Anche se alla fine, inconsapevolmente, finisce per spingerlo ad inseguirla.

Fotografia, trucco e costumi: Oscar già in tasca?

Parlando delle componenti visive del film, non si può non rimanere a bocca aperta. In molte inquadrature sembra di star guardando una fiaba horror in movimento, con simbolismi che si sprecano in ogni scena.

Uno dei più importanti sta nel costume di Victor, inquadrato quasi sempre, quando fisicamente insegue la sua ossessione, con dei guanti rosso intenso, come a simboleggiare il sangue sulle sue mani, che è disposo a immergervi completamente per portare a termine il suo obbiettivo.

Il laboratorio, la tenuta Frankenstein, la nave immersa nel ghiaccio, sono tutti paesaggi e settings straordinari, che regalano sia intimità ai personaggi all’interno sia una festa per gli spettatori che amano analizzare i piccoli dettagli di un’ambientazione.

I costumi, sia dei personaggi, che il trucco della Creatura, sono così ben implementati nella storia e nel tono del film che molto spesso non ci si accorge neanche che rappresentano un’altra epoca, ma sembrano appartenere al nostro tempo.

PRO e CONTRO

PRO:

  • Le interpretazioni degli attori, magistrali e potenti, dai protagonisti ai comprimari;
  • Fotografia, scenografia e costumi, tutti sicuramente in lizza per la nomination agli Oscar;
  • Una prospettiva interessante sulla storia, che riesce a dare nuova profondità ai personaggi;

CONTRO:

  • Il ritmo della prima parte, che potrebbe risultare un po’ lento;

In definitiva, il film di Del Toro forse non sarà perfetto, ma è umano, stilisticamente affascinante e in grado di lasciare lo spettatore a riflettere molto su cosa renda umana l’umanità. Ed è questo che lo rende eccelso. Voto: 8,5.

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Articolo di Lorenzo Giorgi

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