di Alessandra Santoni
Quante volte abbiamo avuto incubi inerenti alla perdita delle persone a noi più care? Si dice che la perdita di un genitore comporti un dolore quasi insostenibile, come se ogni nostra vertebra del corpo si sgretolasse assieme alla loro anima che se ne va.
E sembra quasi di provare ciò mentre giochiamo a South of Midnight.
Alla ricerca della madre e del nostro dolore più nascosto
Il dolore e la perdita sono il fulcro di South of Midnight. Seppur visivamente molto colorato e il gameplay molto avvincente, siamo comunque contornati da un’aria cupa. Da una tensione e ansia continua per la ricerca della mamma perduta.
Il prodotto è una trama in cui le motivazioni personali della protagonista si riescono a fondere e unire a uno scopo più grande che viene trascinato dalla protagonista, Hazel, non soltanto perché deve ritrovare la madre, ma perché è mossa da un grande sentimento empatico.
È facile distrarsi da quello che è il nostro scopo principale del viaggio quando entriamo in contatto con storie drammatiche, intinte di sensi di colpa e sofferenza. Proprio come Hazel, ci troviamo desiderosi, e perché no volenterosi di aiutare, di ricucire le ferite e ripristinare l’ordine naturale del mondo e soprattutto confortare coloro che hanno bisogno di noi.
Un aiuto sincero può salvare, può anestetizzare il dolore una volta per tutte perché alla fine siamo tutti esseri umani schiavi dei ricordi e abbiamo solo bisogno di essere salvati e protetti.
South of Midnight è una piccola perla, parzialmente sottovalutata, che riporta in auge temi come il folklore sudamericano, il dolore, la paura della perdita. Temi, in sostanza, che ci toccano. È una storia intensa, non una semplice favola folkloristica.
La nostra protagonista Hazel, in seguito a un uragano che ha spazzato via la sua casa e sua madre, parte alla ricerca della madre. Durante il suo percorso, scopre di avere dei poteri magici e di essere una Tessitrice, in grado di vedere e manipolare i fili per distruggere i nemici e controllare il dolore, la memoria, l’identità della memoria.
Naviga nelle radici più profonde del pensiero sudamericano: partendo dai miti, favole, per poi radicarsi nel dolore, nel razzismo, nell’esclusione.
L’assurdo che ci circonda diventa una maschera che copre il dolore, il grido di un essere umano affranto e distrutto.
Esplorando nel mondo di South of Midnight, non resta solo il disastro portato dall’uragano, ma rimane il dolore che ha devastato le persone della vita quotidiana.
C’è una via di fuga dal dolore?
È una domanda che ormai l’umano, sia in tempi antichi che in tempi più moderni, si è posto ma nessuno ha mai trovato una risposta.
L’essere umano ha imparato ad anestetizzare il dolore per rendersi schiavo di ricordi che non lo lasciano e non lo lasceranno mai.
In South of Midnight, incontreremo tante leggende, tante storie, alle quali proveremo a portare un lieto fine ma che ci lasceranno sempre l’amaro in bocca.
Tutto attorno a noi è contornato di spine, di pericoli, come se noi protagonisti fossimo costantemente oppressi. Tutto ciò che ci tocca ci fa del male.
Persino mentre combattiamo i mostri, ci interfacciamo con loro come se fossero delle nostre ansie da sbrogliare. Una volta eliminati, il mondo si purifica ulteriormente e il ricordo che si presenta ai nostri occhi viene riposto all’interno di piccole bottigliette.
A volte è più facile nascondere un ricordo, provare a dimenticarlo, piuttosto che portarsi con noi il fardello.
Ci sono dei momenti nel gioco, però, che la nostra Hazel è costretta a scappare, quasi come se fosse un incubo, da un mostro gigante che la insegue. E ci troviamo finalmente salvi appena arriviamo alla luce, al punto che si erge davanti a noi più illuminato di tutti.
La nostra salvezza.
Il dolore come chiave di volta
South of Midnight non è solo il solito semplice gioco, ma è un’avventura intensa, che lascerà molte riflessioni anche una volta finito il titolo. È un viaggio che ci accompagna nei ricordi di Hazel, che ci fa percepire il dolore della ragazza e della gente che la circonda. Ci costringe ad abbracciare un dolore che in fondo ci appartiene.
Ci mostra come possiamo essere fragili, come il dolore possa farsi scudo con noi stessi e diventare parte integrante delle nostre vite.
Come certe ferite non si possono rimarginare facilmente.
Ma alla fine cosa siamo davvero se non un coagulo di tutte le nostre sofferenze e dei nostri peggiori ricordi?
Forse è il dolore la nostra salvezza, la versione più nitida del nostro Io, di Noi.
Vi consigliamo caldamente di giocare il titolo andando al di là del mero gameplay ma riflettendo sul messaggio che trasmette.
Voi lo avete mai giocato? Cosa ne pensate? Fateci sapere la vostra nei commenti e rimanete sempre aggiornati sul nostro sito.
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