di Alessandro Colepio
Il diritto all’eutanasia è uno dei temi più discussi degli ultimi anni, anche grazie alla risonanza mediatica di storie come quella di Fabiano Antoniani e Marco Cappato. I Paesi occidentali sono divisi a riguardo. Alcuni sostengono che la possibilità di disporre della propria vita debba essere piena ed incondizionata, includendo anche il fine vita e l’eventuale scelta di morire. Altri invece ritengono che legalizzare l’eutanasia sia una scelta contro natura e che non può appartenere ad uno Stato civile.
Attualmente, l’eutanasia è stata liberalizzata in Italia dalla Corte Costituzionale per quei casi in cui il paziente sia afflitto da una patologia grave e irreversibile. Questa deve causare nel soggetto un dolore fisico e psicologico tale da rendere insostenibile la scelta di continuare a vivere. Nonostante ciò, il grande numero di medici obiettori di coscienza rende ancora molto difficile praticare l’eutanasia nelle nostre strutture sanitarie. Così molti cittadini italiani si recano in Svizzera, dove esistono appositi centri che permettono l’esecuzione del suicidio assistito sia per patologie di natura fisica che mentale, con criteri molto meno rigidi che in Italia.
L’ultimo caso è stato quello di una donna 55enne di Torino, che a causa di una malattia psicologica si è recata in segreto in Svizzera per compiere l’estremo gesto.
Da Torino alla Svizzera per il fine vita: la storia di Marta
Marta, questo il suo nome di battesimo, aveva scelto di mettere fine alla sua vita. Troppo forte la depressione che l’aveva colpita in seguito alla morte del figlio adolescente, venuto a mancare a causa di una malattia degenerativa nel gennaio dello stesso anno. La donna viveva a Torino, lontana dal marito che per lavoro risiedeva in Canada.
La tragedia del lutto l’aveva colpita a tal punto da spingerla a contattare un’associazione di Basilea che si occupa di suicidio assistito. Si era quindi recata in Svizzera, ma era stata scoperta e raggiunta dai parenti, a cui poi aveva confidato di aver cambiato idea e di voler abbandonare i propositi suicidi.
Rassicurati i familiari, Marta aveva poi continuato in gran segreto ad organizzare la sua dipartita. Aveva compilato le pratiche legali e pagato i 10mila euro all’associazione che l’avrebbe accompagnata nel suo ultimo viaggio. Il 12 ottobre 2023 si è recata in Svizzera ed è deceduta all’interno di una struttura sanitaria.
La mail che notificava la morte
Il marito sarebbe stato allertato dall’avvocato di famiglia, a cui la donna aveva lasciato un SMS in cui gli chiedeva di staccare le utenze della casa, regalare i suoi vestiti in beneficienza ed affidare al marito l’urna con le ceneri del figlio. A niente è servita la denuncia di scomparsa presentata alle autorità italiane. Il decesso di Marta è stato confermato da una E-mail inviata presso la casella di posta elettronica del marito. Peccato che la notifica fosse finita in “spam”. Perciò il marito se ne è accorto solo quando qualche giorno dopo gli è stata recapitata l’urna con le ceneri della moglie insieme al suo certificato di morte.
Quella di Marta è una storia tragica, che logicamente infiamma il dibattito pubblico e riapre il tema dell’eutanasia in Italia. Nel suo caso, morire nel nostro Paese non sarebbe stato possibile. La depressione infatti non è una condizione per la quale il nostro ordinamento prevede l’eutanasia, soprattutto per il fatto di non essere irreversibile.
Fonte: La Repubblica
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