di Alessandro Colepio
New York, 11 settembre 2001. Il mondo si ferma alle ore 8:46 del mattino, quando gli abitanti della metropoli statunitense vedono avvicinarsi l’apocalisse. Un aereo Boeing 747 si schianta contro la facciata contro la Torre Nord del World Trade Center, fiore all’occhiello della finanza occidentale. Pochi minuti più tardi, alle 9:03, è il turno della Torre Sud, colpita da un aereo dello stesso tipo. Interi piani prendono fuoco, il fumo rende infernale l’ambiente interno. Le persone intrappolate più in alto si lanciano dagli edifici, sperando senza fortuna che qualcuno sia pronto a salvarle. Nel giro di un’ora o poco più, entrambi gli edifici crollano al suolo. Quando la polvere si assesta, le Torri Gemelle non esistono più: al loro posto giace un’enorme distesa di detriti, spazzata dal vento e squarciata dalle urla di dolore.
I responsabili della strage sono dei terroristi islamici appartenenti al gruppo fondamentalista di Al-Qaida, guidato da Osama Bin Laden. Oltre ai due aerei kamikaze, dirottati e pilotati contro il World Trade Center, ce ne sono altri due: uno si schianta contro il Pentagono, l’altro finisce nelle campagne della Pennsylvania dopo una lotta fra attentatori e passeggeri.
Quel giorno, vengono strappate al mondo 2996 vite umane, mentre il numero dei feriti arriva addirittura a 6000. Le immagini fanno il giro del mondo, i telegiornali nazionali interrompono ogni trasmissione per seguire da vicino gli eroici soccorritori che si lanciano nel fuoco per cercare di salvare più vite possibili. Molti di loro, purtroppo, non sono mai tornati a casa.
La risposta del mondo alle Torri Gemelle
Gli attentati dell’11 settembre rimangono ancora oggi il simbolo di una guerra oscura fra l’Occidente ed il radicalismo islamico. In quella tragica mattinata, il mondo ha imparato a conoscere la vera paura. Quella irrazionale, logorante, frutto del lavoro di una mano che è riuscita a colpire al cuore il Paese più potente del mondo. L’odio serpeggia fra la popolazione e si esplicita nelle sue forme peggiori: il razzismo e la xenofobia.
L’America risponde in maniera durissima, creando un sistema di controllo dell’immigrazione senza precedenti. Sul fronte estero ci pensa il presidente George W. Bush, che grazie all’USA PATRIOT Act e ad una serie di Risoluzioni ONU (peraltro fortemente condizionate dalla tragedia di New York) porta l’esercito americano e le armate alleate direttamente in Medio Oriente, con lo scopo di eliminare tutte le cellule terroristiche e i governi accusati di proteggerle. Una guerra senza un vero nemico, andata avanti per più di 20 anni e forse non ancora finita.
Le conseguenze peggiori, però, si leggono sul volto dei cittadini statunitensi, che dopo New York si sono stretti intorno al proprio spirito nazionalista e hanno pianto tutti i figli d’America scomparsi come se fossero i propri. Un po’ per scacciare la paura, un po’ per farsi forza l’un l’altro, e un po’ per stare vicino a tutte quelle famiglie che non hanno neanche potuto seppellire i loro morti.
Le nuove tecniche di riconoscimento
Una delle pagine più tristi e meno conosciute di questo oscuro capitolo della nostra storia è il fatto che, a causa delle alte temperature e del crollo della struttura, molte vittime non siano mai state identificate. O meglio, sappiamo tutti i loro nomi, ma non siamo in grado di associarli a nessun corpo per colpa dei danni subiti. Questa problematica ha negato tantissime degne sepolture, con tutti i problemi che ciò comporta nelle famiglie tradizionalmente molto religiose.
Oggi, fortunatamente, sembra che la scienza sia arrivata al punto di svolta. Da qualche anno, infatti, i ricercatori stanno utilizzando la tecnica del Next Generation Sequencing (NGS) sui resti umani rinvenuti: sfruttando una mappatura del DNA più ampia, è possibile riconoscere la sequenza genetica di un individuo anche partendo da campioni pesantemente danneggiati.
Pochi giorni fa, l’uso dell’NGS ha permesso di riconoscere due soggetti, un uomo e una donna, corrispondenti alla vittima numero 1648 e 1649. Le famiglie hanno vietato la diffusione dei nomi per questioni di privacy. Siamo sulla buona strada, ma i dati sono ancora impietosi: più della metà delle vittime non è stata ancora identificata. Speriamo che il progresso scientifico aiuti a ricucire le ferite ancora aperte di una tragedia che riecheggia ancora fra i muri del National 9/11 Memorial and Museum, costruito proprio sul terreno dove 22 anni fa sorgevano le Torri Gemelle.
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