di Domenico Scala
“Biancaneve e i sette nani” è il leggendario film d’animazione statunitense del 1937 diretto da David Hand, prodotto da Walt Disney e distribuito dalla RKO Radio Pictures, chiusa nel 1959. Basato sull’omonima fiaba dei fratelli Grimm, fu il primo lungometraggio d’animazione prodotto negli Stati Uniti, il primo ad essere girato completamente a colori ed il primo targato Walt Disney Productions, cosa che lo rende di fatto nientemeno che il primo Classico Disney!
“Biancaneve e i sette nani”, un film rivoluzionario
Il film venne proiettato in anteprima al Carthay Circle Theatre il 21 dicembre 1937 prima della distribuzione in tutti gli Stati Uniti a partire dal 4 febbraio 1938; in Italia arrivò invece l’8 dicembre seguente. Fu la pellicola col maggior incasso dell’anno e prima delle riedizioni aveva già incassato un totale di 8 milioni di dollari in tutto il mondo, cifra esorbitante per l’epoca!
Eppure la storia produttiva e distributiva di questo rivoluzionario lungometraggio animato godette anche di diversi aneddoti poco conosciuti e quantomeno curiosi, uno dei quali particolarmente sorprendente. I protagonisti della vicenda sono lo stesso Walt Disney e nientemeno che J.R.R. Tolkien, entrambi nella ristretta cerchia delle firme più prestigiose dei rispettivi ambiti d’appartenenza.
L’interesse di Disney per le opere di Tolkien
Tolkien, professore di letteratura all’Università di Oxford e filologo di fama internazionale, ha dato vita alla saga fantasy per eccellenza, simbolo della letteratura di genere per com’è intesa oggi: “Il Signore degli Anelli”. Il secondo, americano di più modesta istruzione ma di ben diverso atteggiamento, è considerato il padre dell’animazione occidentale; insieme al fratello fondò infatti quella che è oggi una delle multinazionali più famose ed influenti del globo, capace di generare centinaia di milioni di utili in svariati settori dell’intrattenimento e non solo.
Ciò che permise a Walt Disney di sfondare nell’industria cinematografica fu in particolare l’innata capacità di fiutare il talento altrui e di sfruttarlo per i propri interessi creativi. L’amore per l’arte lo spingeva ad una continua ricerca di artisti di talento per legarli al nome dell’azienda di famiglia; riuscì così a collaborare con personaggi del calibro di Salvador Dalí, che nel 1945 lavorò al corto animato surrealista “Destino”, rilasciato però soltanto nel 2003; ma si dimostrò anche a dir poco opprimente nei riguardi della scrittrice Pamela Lyndon Travers, che perseguitò pur di ottenere i diritti di sfruttamento del personaggio di Mary Poppins, come raccontato dal delicato “Saving Mr. Banks”.
Le critiche di Tolkien
Nello stesso periodo Disney tentò in tutti i modi di avvicinare Tolkien per produrre un adattamento animato de “Il Signore degli Anelli”. Tuttavia, come vedremo nel paragrafo seguente, lo scrittore non aveva mai nascosto la propria antipatia nei confronti della “Casa di Topolino”, criticando in particolare proprio i nani di “Biancaneve”.
Ma torniamo al 1937. A dicembre arriva il primo romanzo ambientato nell’immaginario universo di Arda, “Lo Hobbit”. Appena tre mesi dopo ecco al cinema anche “Biancaneve e i sette nani”, primo lungometraggio animato della storia del cinema. Il professor Tolkien, accompagnato dall’amico e collega C.S. Lewis (autore de “Le Cronache di Narnia”), visiona il nuovo prodigio della tecnica, che però non gli piace per niente. Come riportato a galla anche dal “The Telegraph” qualche anno fa, dopo anni di relativo silenzio riguardo Walt e i suoi lavori, lo scrittore espresse la sua opinione in risposta alla lettera di una fan datata 1964, di cui riportiamo una traduzione qui di seguito:
“Ne riconosco il talento, ma mi è sempre sembrato irrimediabilmente corrotto. Sebbene nella maggior parte delle creazioni dei suoi studi ci siano passaggi ammirevoli o affascinanti, il loro effetto su di me è di disgusto. Mi danno la nausea”.
La dura presa di posizione negli scritti del professore
In una di queste lettere Tolkien lasciò poi intuire piuttosto chiaramente i motivi dietro la repulsione verso lo stile Disney. In quanto filologo amante della letteratura e del mito anglosassone, non poteva in alcun modo tollerare una visione così “infantile” e caricaturale di quelle che per lui erano figure culturali da trattare con la massima serietà. Nella sua mente i nani erano feroci combattenti e avidi minatori, l’esatto opposto dei sette nani del film animato, rappresentati come ingenui e allegri paciocconi.
I tratti oscuri, inquietanti e moralmente austeri della fiaba originale dei fratelli Grimm in “Biancaneve e i sette nani” erano quasi del tutto accantonati, se non per quei “passaggi ammirevoli e affascinanti” citati da Tolkien stesso.
Nonostante i continui rifiuti, Disney cercò per più di un decennio di accaparrarsi i diritti sulle opere del padre del fantasy. Ma nel 1965, quando ormai anche altre case di produzione si palesavano sempre più insistentemente, l’autore scrisse agli editori un’ulteriore lettera alquanto esplicativa:
“Finché sarà possibile porremo il veto a qualsiasi cosa abbia a che fare con gli studi Disney, per i cui lavori provo un sincero disgusto”.
L’eredità di Tolkien
Quanto avvenuto in seguito è storia invece ben più nota. Nel 1969, tre anni dopo la morte di Walt, i diritti de “Il Signore degli Anelli” vennero ceduti alla United Artists, che nel 1978 rilasciò l’omonimo lungometraggio animato diretto nientemeno che da Ralph Bakshi. L’adattamento non ottenne però il successo sperato e cadde ben presto nel dimenticatoio, se non per una fortunata intuizione di Peter Jackson, che quasi trent’anni dopo ne attinse in parte per la trilogia cinematografica di New Line Cinema che nei primi anni duemila ha segnato la storia del cinema.
Ma Disney venne mai realmente a conoscenza del pensiero del professore? Probabilmente no, o perlomeno non del tutto. Walt morì infatti nel 1966, ma le lettere di Tolkien contenenti critiche (anche molto personali) al collega divennero di pubblico dominio soltanto una decina di anni più tardi. È però verosimile pensare che il “papà” di Topolino avesse più che intuito l’astio da parte dello scrittore britannico.
Tolkien fu categorico al riguardo: non voleva che il proprio nome fosse associato in alcun modo a quello dell’avversario. Ed è questo il motivo per cui affidò le produzioni cinematografiche dei racconti ad aziende indipendenti, arrivando persino a rifiutare le illustrazioni di Horus Engeles per l’edizione tedesca de “Lo Hobbit”, perché considerate “troppo Disneyane”…
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